Lorenzo SCILLITANI* Para citar este artículo puede utilizarse el siguiente formato: Lorenzo Scillitani (2015): "Europa delle nazioni o Europa degli uomini? Il problema dell’unità giuridico-politica europea nelle riflessioni di Claude Bruaire e di Maurice Duverger", en Revista europea de historia de las ideas políticas y de las instituciones públicas, n. 9 (octubre 2015). Puede leerse este artículo en línea en el siguiente sitio indicado a continuación: http://www.eumed.net/rev/rehipip/09/maurice-duverger.html Resumen: Planteamiento dicotomista sobre si debemos construir una Europa de los hombres o una Europa de las naciones. Se recogen reflexiones que al respecto, tuvieron Claude Bruaire y Maurice Duverger. Bruaire es un metafísico y un cultivador de la filosofía política y de la filosofía del derecho. Maurice Duverger es un jurista, un politólogo y un marxista. Palabras clave: Maurice Duverger, Claude Bruaire, Europa. Resum: Plantejament dicotomista sobre si hem de construir una Europa dels homes o una Europa de les nacions. Es recullen reflexions que, sobre aquest tema, van tenir Claude Bruaire i Maurice Duverger. Bruaire és un metafísic i un conreador de la filosofia política i de la filosofia del dret. Maurice Duverger és un jurista, un politòleg i un marxista. Paraules clau: Maurice Duverger, Claude Bruaire, Europa. 1. Premessa
Quando si pensa, oggi, all’Europa, ai significati che si addensano attorno a questo nome, alle molteplici valenze che questo comporta1, a quali autori si fa appello? Ad autori che vanno per la maggiore, che attirano l’interesse del popolo degli studiosi per la loro diffusa presenza nella letteratura scientifica di riferimento, o viceversa ad autori (almeno oggi) scarsamente «digitati» nelle ricerche sul web? Rivolgersi a Claude Bruaire e a Maurice Duverger vuol dire, oggi, inclinare per la seconda opzione, nella consapevolezza di operare una scelta apertamente e dichiaratamente controtendenziale, tanto più se si considera di mettere a confronto non due filosofi o due politologi, ma un filosofo e un giurista-politologo: un filosofo a suo modo atipico e poliedrico – metafisico, filosofo della religione, del diritto e della politica, come Bruaire – e un giurista e scienziato della politica, per giunta anche politicamente impegnato – quale è stato Duverger. 2. Europa delle nazioni?12
Bruaire precisa il senso di una critica della ragion politica nei termini di una contingenza storica segnata dalla contraddizione tra la libertà13 e la forza, da una parte e, dall’altra, la ragione14: premesso che l’essenza del politico non si esaurisce nella politica15, si osserva che la libertà che pone la contingenza della ragione politica, come il volere che la sostiene, «affronta l’irrazionalità dei poteri e riesce a ridurli solo attingendovi forza per stabilire un diritto»16. L’opposizione dialettica della forza e della libertà nei confronti della ragione si presenta tuttavia in maniera diversa: «per sussistere, la libertà richiede la ragione, e la ripudia soltanto per alienarsi. La forza è richiesta perché sia resa ragione, ma non si serve affatto della ragione, se non nell’astuzia della violenza (…). La libertà può dunque fare violenza alla ragione, rischiando di perdersi. Ma essa non può imporre ragione alla forza senza essere a sua volta forte. L’iniziativa del politico è quindi sempre una scommessa: che la forza neghi la forza attraverso la libertà, a condizione che la libertà si scelga a sua volta, piuttosto che il contrario»17. Libertà, forza e ragione entrano in una tensione dialettica nella quale si fa spazio il diritto18: «la libertà è impotente senza il potere e la sua forza. Pertanto, la sua scelta del diritto è solo velleità, utopia, astrazione. Ma la forza è l’arma del diritto solo se la libertà ne fa il suo proprio mezzo»19. Per questo c’è bisogno di un potere, il quale però diventa tirannico se non edifica e non serve lo Stato, il quale si configura come l’istituzione moderna che organizza la vita sociale come sistema giuridico20; «ma lo statalismo manda in rovina la realtà del politico come il volere nazionale»21, per cui c’è bisogno della nazione22, depurata di quella degenerazione che è il nazionalismo, anti-Stato in quanto anti-nazione23. 3. Europa degli uomini?
«Noi non coalizziamo gli Stati, ma uniamo gli uomini»: in questa affermazione di Jean Monnet55 si condensa lo spirito dello scritto di Duverger dedicato espressamente all’Europa, e concepito in un’ambientazione storico-politica diversa, per molti aspetti congiunturali, da quella nella quale rifletteva Bruaire, ma sostanzialmente simile, anche con riguardo alle linee di tendenza dell’odierna costruzione europea. Ciò vuol dire che è possibile rintracciare una costante della problematica europea, quantomeno nei termini di una perdurante ricerca di equilibrio tra la forza centripeta delle istituzioni comunitarie e le spinte centrifughe dei partners. 4. Tesi conclusiva: verso le Nazioni Unite dell’Europa degli uomini
Se il minimo comune denominatore tra i vari interessi nazionali da comporre resta un elemento fondamentalmente economico, sopravvalutato a confronto con altri elementi, i fattori di conflittualità euro-nazionali sono destinati non a ridimensionarsi, ma ad accentuarsi. L’auspicio, formulato da Duverger, di un’Europa degli uomini, e dei diritti degli uomini cittadini sovrani di un’Europa politicamente libera, può realizzarsi a condizione di valorizzare un pluralismo83 che non è da inventare, perché è già inscritto, come pluralismo nazionale, nella fisionomia stessa dell’Europa. Un’Europa nella quale questa ricchezza venisse non sbiadita né diluita, ma restituita alla sua ispirazione originaria, potrebbe efficacemente contribuire alla pacificazione internazionale a livello mondiale, rivendicando la possibilità politica di una coesistenza di soggetti (eccezionalmente) diversi, non omologabili alla negazione economicistica delle differenze, come possibilità di portata autenticamente universale84. Recibido el 20 de mayo de 2105. Aprobado el 28 de junio de 2015 * Ordinario di Filosofia del diritto. Università del Molise. 1 In generale, è vero che, «quando parliamo di Europa, non sappiamo bene di che cosa stiamo parlando» (L. Caracciolo, in E. Letta-Id., L’Europa è finita?, a cura di E. Carlucci, add, Torino, 2010, p. 67). Per rispondere all’interrogativo «che cos’è l’Europa?» si è sostenuto che l’Europa «è quella specifica volontà di separazione e divisione che appare con la riflessione greca sul senso dell’essere, del niente e del divenire» (E. Severino, La tendenza fondamentale del nostro tempo, Adelphi, Milano, 1988, p. 126; cfr. M. Heidegger, Il nichilismo europeo, Adelphi, Milano, 2003). Alla domanda «dove finisce l’Europa?» si è risposto che essa «finisce là dove finisce il cristianesimo occidentale e iniziano l’islamismo e l’ortodossia» (S. P. Huntington, Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale, Garzanti, Milano, 2000, p. 230), «in parte in seguito a una separazione proveniente dall’esterno, in parte per uno sforzo più o meno cosciente di creare qualcosa di nuovo» (R. Brague, Il futuro dell’Occidente, Rusconi, Milano, 1998, p. 152). Fino alla Guerra fredda l’appartenenza all’Occidente è stata, per l’Europa occidentale, un fattore di coesione. Dopo la caduta del Muro di Berlino, anche l’Europa, come le altre macroaree culturali, torna ad interrogarsi sui contorni della propria identità, alla ricerca di un equilibrio non più garantito dalla cristallizzazione di rapporti di forza tra potenze ideologiche antitetiche. Se è vero che la situazione della globalità contemporanea è stata creata dall’Europa (cfr. K. Jaspers, Origine e senso della Storia, Mimesis, Milano-Udine, 2014, p. 105), è altrettanto vero che «il mondo è diventato europeo mercè l’adozione della tecnica europea e delle esigenze nazionali europee, e sta rivolgendo entrambe con successo contro l’Europa» (ivi, p. 107). In argomento cfr. anche M. Riedel, L’universalità della scienza europea e il primato della filosofia, ESI, Napoli, 1982). 2 Cfr. P. Grossi, Unità giuridica europea: un Medioevo prossimo futuro?, ‘Quaderni fiorentini’, 31/2002, t. 1. L’ordine giuridico europeo: radici e prospettive, pp. 39-57. Circa l’insistere essenziale della Rechtsidee nelle prospettive postbelliche dell’Europa del 1917, così ragionava Max Scheler: «solo i rapporti a livello mondiale, che siano nati spontaneamente dalla forza e dall’altezza dell’idea di diritto, e non quelli che stabiliscono giuridicamente le relazioni tra le potenze solo con le armi, promettono una durata e quell’atmosfera spirituale nella quale solamente è possibile una ricostruzione culturale» (M. Scheler, La ricostruzione culturale dell’Europa. Una conferenza, in L’eterno nell’uomo, Bompiani, Milano, 2009, p. 993). 3 Fa da controcanto a Il sogno europeo, di Jeremy Rifkin (Mondadori, Milano, 2004), La fin du rêve européen, di François Heisbourg (Stock, Paris, 2013). 4 Non mancano, d’altronde, i fautori, più o meno decisi, della tesi della democraticità dell’Europa unita, come G. Amato, Noi in bilico, (Laterza, Roma-Bari, 2005), o S. Goulard e M. Monti, La democrazia in Europa (Rizzoli, Milano, 2012). 5 C’è chi crede addirittura di aver intonato il de profundis della creatura eurounitaria, come W. Laqueur, nel suo lavoro su Gli ultimi giorni dell’Europa, Marsilio, Venezia, 2007. 6 Cfr. A. D’Atorre, La forma introvabile. L’Europa e la via giuridica all’unificazione, ‘Rivista internazionale di filosofia del diritto’, 3/2011, pp. 381-413. 7 Cfr. C. Bruaire, La raison politique, Fayard, Paris, 1974. Bruaire è un pensatore cristiano la profondità, e l’originalità, del quale sono attestate da una produzione impegnativa e articolata, che spazia da un confronto serrato con Hegel e Schelling alla proposta di una ontodologia – una ontologia dello spirito come dono –, tributaria di un intenso percorso teologico, che si è accompagnata anche a una filosofia del diritto e della politica (in italiano si segnala la traduzione de La forza dello spirito e lo spirito del diritto, a cura di P. Ventura, Giappichelli, Torino, 1990; dopo di allora, il dimenticatoio). Per un primo approccio alla sua opera si rinvia alla voce a lui dedicata da A. Aguti, Enciclopedia filosofica, Bompiani, Milano, 2006, pp. 1475-1476. 8 Cfr. M. Duverger, L’Europa degli uomini, Rizzoli, Milano, 1994. Ai fini del presente lavoro Duverger si segnala per essere stato, oltre che un teorico dei sistemi e dei partiti politici, e della democrazia, un autorevole costituzionalista di dimensioni veramente europee, recepito in particolare, in Italia, da Stefano Ceccanti (del quale cfr. Maurice Duverger e il metodo combinatorio: una lezione ancora valida, ‘Quaderni costituzionali’, 1/2015, pp. 227-242). Il suo discutibile, e controverso, passato nella Francia di Vichy risulta parzialmente riscattato dall’esperienza d’impegno politico vissuta da protagonista quale consigliere di Mitterrand (su quest’ultima fase si vedano i frequenti rinvii in M. Gervasoni, François Mitterrand. Una biografia politica e intellettuale, Einaudi, Torino, 2007), e poi nel Parlamento europeo. 9 Per un primo inquadramento della categoria di identità applicata alla complessa problematica storico-culturale dell’idea di Europa (sulla cui complessità filosofica si veda, oltre a E. Husserl, L’idea di Europa, Raffaello Cortina, Milano, 1999, anche P. Mathias, L’idea di Europa. Mutamenti di concetti e realtà attraverso i secoli, La scuola di Pitagora, Napoli, 2009) si fa rinvio a P. Rossi, L’identità dell’Europa, il Mulino, Bologna, 2007. Sulla tensione dialettica della (presunta) identità europea con la categoria dell’altro si veda J. Kristeva, Stranieri a noi stessi, Donzelli, Roma, 2014. 10 A una prima presa di contatto, da un privilegiato osservatorio politologico, con l’atmosfera intellettuale che si respira nell’Europa di oggi, si offre, a firma di Giuliano Amato e di Ernesto Galli Della Loggia, Europa perduta? (il Mulino, Bologna, 2014). Non sono passati neanche dieci anni da quando Alessandro Ferrara ha indicato L’Europa come spazio privilegiato della speranza umana (in Identità europea e libertà, a cura di F. Marcolungo, CLEUP, Padova, 2006, pp. 43-61), e Roberto Mancini ha predicato L’Europa come promessa (ivi, pp. 11-42). 11 Cfr. A. Panebianco, L’integrazione instabile, ‘liberal’, 26/2004, pp. 12-17. Sul particolare aspetto dei piani di politica militare comune sperimentati in passato (cfr. L’Europa indifesa, ‘liberalRisk’, 1/2003), si rinvia a M. L. Napolitano, Il fallimento di una speranza: gli Stati Uniti e il progetto di Comunità Europea di Difesa, in Le possibilie Europe. Storia, diritti, conflitti, Libreria dello Stato, 2009. 12 È da vent’anni all’incirca, ormai, che ci si chiede se In Europa tornano i caratteri nazionali (cfr. l’omonimo titolo di un articolo di I. I. Gabara e L. Consoli, in Euro o no euro, ‘liMes’, 2/1997, pp. 15-30). 13 Per l’Europeo, la libertà coincide con la necessità del vero: «se sono libero, io non voglio una cosa perché la voglia, ma perché mi sono convinto che è giusta» (K. Jaspers, Dello spirito europeo, cit., p. 129). 14 Va precisato che la politica è l’ambito della ragione non tecnico-calcolante, ma morale (cfr. J. Ratzinger, Europa. I suoi fondamenti oggi e domani, San Paolo, Cinisello Balsamo, 2004, p. 55). 15 Cfr. C. Bruaire, La raison politique, cit., p. 108. 16 Ivi, p. 109. 17 Ibidem. 18 «È compito della politica porre il potere sotto l’egida del diritto, regolando così il suo retto uso. Non deve vigere il diritto del più forte, ma piuttosto la forza del diritto» (J. Ratzinger, Europa, cit., p. 62): una forza che, per Bruaire, pertiene all’ambito stesso della politica. 19 C. Bruaire, La raison politique, cit., p. 108. «Finché non raggiunge l’oggettività del diritto positivo, la libertà è puro arbitrio indistinguibile dalla pura contingenza in cui si abolisce ogni senso» (Id., La forza dello spirito e lo spirito del diritto, cit., p. 107). In una chiave di lettura politologica, si è tentato di approfondire criticamente i nessi tra l’inclinazione dell’Unione Europea ad autointerpretarsi come potenza dotata di forza normativa e la pressione determinata dalla necessità di fare comunque i conti con l’uso (trattato sempre con estrema cautela) della forza in quanto tale (cfr. Z. Laïdi, La norme sans la force, Sciences.Po Les Presses, Paris, 2013): la riluttanza ad un’autoaffermazione identitaria, quantunque soft, sulla scena internazionale, ha creato le condizioni di un fenomeno che è stato chiamato Le reflux de l’Europe, come recita il titolo di un recente lavoro di Zaki Laïdi (Sciences.Po Les Presses, Paris, 2013). 20 Cfr. C. Bruaire, La forza dello spirito e lo spirito del diritto, cit., p. 106. Questo passaggio può forse essere meglio spiegato con l’aiuto della filosofia – politica e giuridica – dell’Europa emergente in Jaspers: «l’essenza della politica, vista così spesso nel potere che si serve di ogni mezzo, si muta nello sforzo spirituale reciproco, teso ad ordinare la vita pratica nell’ambito dell’ordine giuridico che abbraccia tutti gli uomini. Ma questo riuscirà soltanto le sua essenza di prima, l’uso pragmatico del potere, viene riconosciuta e presentata come ancora continuamente presente, ma non assolutizzata» (K. Jaspers, Dello spirito europeo, cit., p. 147). 21 C. Bruaire, La raison politique, cit., pp. 109-110. 22 La posizione qui sostenuta va controcorrente rispetto a una diffusa prevenzione (a volte aspramente) critica nei confronti di tutto ciò che vuol dire nazione, equivocato (spesso acriticamente) sotto l’etichetta di «nazionalismo»: «coloro che pensano che la divisione dell’Europa in nazioni sia stata la principale causa delle guerre europee dovrebbero anche ricordarsi delle guerre di religione devastanti a cui le fedeltà nazionali hanno finalmente messo fine» (R. Scruton, Il bisogno di nazione, Le Lettere, Firenze, 2012, p. 41). Roger Scruton mostra di apprezzare le fedeltà nazionali per la loro particolare attitudine a rispettare le sovranità (a riguardo del profilo filosofico-politico di questo tema cfr. G. Duso, L’Europa e la fine della sovranità, ‘Quaderni fiorentini’, 31/2002, t. 1, cit., pp. 109-139) e i diritti degli individui (cfr. R. Scruton, Il bisogno di nazione, cit., p. 52), configurandosi come un presupposto profondo delle stesse democrazie (cfr. ibidem). La tendenza dominante, per converso, avvalora la visione teilhardiana di un mondo sempre più «planetarizzato», si direbbe oggi «globalizzato» (cfr. P.-L. Mathieu, La pensée économique et politique de Teilhard de Chardin, Seuil, Paris, 1969, p. 236 ss.). 23 Cfr. C. Bruaire, La raison politique, cit., p. 110. 24 Cfr. B. Olivi-R. Santaniello, Storia dell’integrazione europea. Dalla guerra fredda ai giorni nostri, il Mulino, Bologna, 2015. 25 Qualcuno giunge a vagheggiare la società europea come una sorta di «società postnazionale di società nazionali» (U. Beck, Europa tedesca, Laterza, Roma-Bari, 2013, p. 69). 26 Che, per altri versi, la fase storica inaugurata un secolo fa con la Grande Guerra europea (cfr. La guerra in Europa non è mai finita, ‘liMes’, 1/2012) possa essere letta come la fase contraddistinta dall’affacciarsi di un mondo post-Europa è quanto dà a pensare Jan Patočka, in L’Europa e dopo. L’epoca post-europea e i suoi problemi spirituali, Medusa, Milano, 2013. Non c’è spazio, in questa la sede, per discutere le analisi del grande pensatore ceco. 27 Cfr. M. Panebianco, Il federalismo euro-nazionale, ‘Jus’, 1/1999, pp. 429-442. 28 Sul punto si rinvia a A. Vespaziani, L’Unione Europea: Federazione o Confederazione?, in http://www.apertacontrada.it/2014/03/22/lunione-europea-federazione-o-confederazione/: concordiamo con l’autore di questo articolo nel considerare che «riproporre a proposito della qualificazione giuridica della UE l’antica dicotomia federazione/confederazione significa rimanere all’interno del formalismo positivistico che privilegia le norme sui processi e che mira all’individuazione del “luogo” della sovranità, non a caso proprio la prima categoria ad essere stata messa in discussione dalla europeizzazione e globalizzazione del diritto costituzionale» (p. 1). 29 «È la radice economicista ed elitista – dunque antidemocratica – che alimenta l’idea di Europa dal secondo dopoguerra almeno fino al 1989» (L. Caracciolo, in E. Letta-Id., L’Europa è finita?, cit., p. 42): l’esito è stato un’Europa fatta non con, ma per gli Europei. Il frequente accostamento del termine costruzione all’Europa «integrata» evoca la fondamentale incompiutezza dell’essenza dell’Europa (cfr. K. Jaspers, Dello spirito europeo, in Id., Verità e verifica. Filosofare per la prassi, Morcelliana, Brescia, 1990, p. 136), che solleva l’urgenza di ripensare l’Europa, come vorrebbe Emanuele Severino, in un suo recente intervento (‘Scenari’, 1/2015 http://mimesis-scenari.it/2015/01/30/ripensare-leuropa/). 30 Sullo spessore filosofico della categoria di comunità, in relazione all’Europa, cfr. G. Ferraro, La verità dell’Europa e l’idea di comunità (la lezione di E. Husserl), Filema, Napoli, 1998. 31 C. Bruaire, La raison politique, cit., p. 171. 32 Cfr. ibidem. 33 Ivi, p. 172. 34 Ivi, p. 173. 35 Cfr. ibidem. 36 Ibidem. 37 Ibidem. Fanno riflettere, a questo proposito, i sorprendenti riscontri ricavabili da L’Europa è un bluff, ‘liMes’, 1/2006. 38 Cfr. C. Bruaire, La raison politique, loc. cit. 39 Cfr. ibidem. 40 Cfr. ivi, p. 174. 41 Cfr. C. Bruaire, La raison politique, cit., p. 174. 42 Cfr. ibidem. 43 Cfr. ibidem. 44 Cfr. L. Siedentop, Un’Europa dei cittadini, in E. Berti, S. Averincev, E. Nolte, Id., La filosofia dell’Europa, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2004, pp. 83-113. Per una «società europea degli individui», cittadini titolari di piena sovranità, si pronuncia Ulrich Beck, in Europa tedesca, cit., p. 68. 45 Cfr. C. Bruaire, La raison politique, loc. cit. 46 Cfr. ibidem. 47 Ad illustrare l’eccezione pluri-identitaria europea nel panorama delle civiltà possono forse bastare le seguenti considerazioni: «l’identità europea esiste solo nella misura in cui le identità che la costiuiscono non sono comprese come totalità omogenee che coesistono (e sono coesistite) le une accanto alle altre – ma sono còlte ciascuna in quella eterogeneità costitutiva che, ogni volta in maniera singolare, le ha messe in contatto reciproco, che le ha nutrite di prestiti, scambi, traduzioni» (M. Crépon, Les identités hétérogènes. Réflexions sur la (les) culture(s) de l’Europe, in Id., Les promesses du langage, Vrin, Paris, 2001, p. 226). Se, e come, e fino a che punto possa conciliarsi la spinta all’individualizzazione delle identità europee con la ricerca di unità è una questione che fa da sfondo a tutti i discorsi e progetti sottesi al tema trattato in queste pagine. 48 Raffaello Franchini ricordava che l’unità europea, prima di essere un problema di lingua, è un problema di linguaggio (cfr. S. Cotta, Europa: fantasma o realtà?, Guida, Napoli, 1979, pp. 41-42). 49 Nella misura in cui l’Europa non ha come orizzonte se stessa, quale ultima istanza, consente a coloro che ne partecipano di diventare europei «a condizione di diventare uomini in senso proprio, cioè uomini a partire dalla profondità dell’origine e del fine, che si trovano entrambi in Dio» (K. Jaspers, Dello spirito europeo, cit., p. 154). 50 Già da anni ci si chiede (con P. Ventura) se e come Devono i giovani amare l’Europa? (in Quale Europa per i giovani?, I Quaderni di Athenaeum, Roma, 2003, pp. 243-244). 51 Cfr. AA. VV., Quale futuro per l’Europa?, Rizzoli, Milano, 2014. 52 Circa le opportunità e i problemi comportati dall’introduzione della moneta unica nella cosiddetta Eurozona si confrontano scuole di pensiero spesso radicalmente contrapposte: si va da chi è convinto che con l’euro Salviamo l’Europa – come titola l’omonimo manifesto programmatico del finanziere George Soros (con G. P. Schmitz, Hoepli, Milano, 2014) – a chi viceversa ne considera e ne teme gli effetti economicamente depressivi (cfr. G. Guarino, Euro: venti anni di depressione, ‘Nomos’, 2/2012, pp. 1-76; T. Sarrazin, L’Europa non ha bisogno dell’Euro, Castelvecchi, Roma, 2013), e politicamente disgregativi, a scapito dei partners europei più deboli (cfr. P. Becchi, L’Europa e il minotauro dell’Euro, Quaderno di ‘Politica.eu’, Campobasso 2015). Per le implicazioni geopolitiche legate all’impatto dell’adozione dell’Euro sulle economie nazionali e sull’economia mondiale si legga altresì L’Euro senza Europa (‘liMes’, Quaderno speciale 2010) e Alla guerra dell’Euro (‘liMes’, 6/2011). 53 Sul ruolo determinante dell’elemento filosofico ai fini di una caratterizzazione dell’autopresentazione dell’Europa cfr. in particolare M. Heidegger-H. G. Gadamer, L’Europa e la filosofia, Marsilio, Venezia 1999; E. Nolte, La filosofia europea e il futuro dell’Europa, in La filosofia dell’Europa, cit., pp. 47-81. 54 Cfr. S. Cotta, Europa: fantasma o realtà?, cit., p. 38. Non è forse un caso che l’Europa politica dei Trattati di Roma del 1957 sia stata concepita dalla democrazia cristiana di statisti come Adenauer, De Gasperi, Schuman (cfr. M. Duverger, L’Europa degli uomini, cit., p. 91). Per un approccio critico alla questione delle radici cristiane in rapporto al progetto di Costituzione europea si rimanda a J. H. H. Weiler, Un’Europa cristiana. Un saggio esplorativo, Rizzoli, Milano, 2003. Altro discorso, che meriterebbe maggior attenzione, è la ricostruzione storica, e l’approfondimento teorico, delle matrici ideologiche che hanno ambientato la nascita dell’idea di Europa unita negli Anni Venti e Trenta del secolo scorso (cfr. J.-L. Chabot, Aux origines intellectuelles de l’Union européenne, PUG, Grenoble, 2005). Da un osservatorio politico-parlamentare procede invece la lettura eurocristiana di M. Mauro, in Il dio dell’Europa, Ares, Milano, 2007. 55 Cfr. M. Duverger, L’Europa degli uomini, cit., p. 11. 56 Ibidem. 57 Ivi, p. 12. 58 Ivi, p. 13. 59 Circa l’effettiva portata e le contraddizioni dell’eurasiatismo cfr. G. Nivat, Les paradoxes de l’‘affirmation eurasienne’, ‘Esprit’, ottobre 2007, pp. 118-135. 60 Per la verità, le attese che i dirigenti europei per lo più coltivano oggi sembrano puntare su di un disegno geopolitico che ha a che fare con legami di interdipendenza energetica (cfr. G. D’Amato, L’EuroSogno e i nuovi Muri ad Est. L’Unione europea e la dimensione orientale, Greco&Greco, Milano, 2008), piuttosto che sulla diffusione, e sulla capacità di attrazione, di un modello politicamente valido in prospettiva trans-europea. 61 M. Duverger, L’Europa degli uomini, cit., p. 57. 62 Ibidem. 63 Per una riproposizione attualizzante del pensiero di questo padre dell’europeismo contemporaneo cfr. B. Spinelli, Il sonno della memoria. L’Europa dei totalitarismi, Mondadori, Milano, 2001. 64 M. Duverger, L’Europa degli uomini, cit., p. 93. Rifkin celebrò la Costituzione UE con accenti estremamente elogiativi, al limite dell’esaltazione: «un fatto nuovo nella storia dell’uomo (…). Il primo documento del genere a elevarsi a un livello di consapevolezza globale, individuando diritti e responsabilità che riguardano la totalità degli esseri umani sulla terra» (J. Rifkin, Il sogno europeo, cit., p. 217). Per una critica della Costituzione europea si rinvia a A. Carrino, Oltre l’Occidente, Dedalo, Bari, 2005, e a A. Negri, L’Europa e l’Impero. Riflessioni su un processo costituente, manifestolibri, Roma, 2003. 65 Si ricordi che già nel 1992 il Trattato di Maastricht, bocciato per un soffio dall’esito del referendum danese, era stato ratificato con una risicata maggioranza dal popolo francese. Questa forte oscillazione, tra picchi di eurofobia, euroscetticismo (per un punto di vista moderatamente critico cfr. R. Dahrendorf, Perché l’Europa? Riflessioni di un europeista scettico, Laterza, Roma-Bari, 1997), spesso tendente ad eurodelusione, se non a europessimismo, all’interno dei Paesi fondatori, e picchi di euroentusiasmo e di «eurofilia» (in tema si veda E. Letta, L’Europa a venticinque, il Mulino, Bologna, 2006), come quello toccato nell’ormai lontano 1989 (quando gli Italiani, con un referendum consultivo ad hoc, si espressero a larghissima maggioranza per conferire un mandato costituente alla Legislatura parlamentare europea), quando non di vero e proprio eurofanatismo, all’interno di Paesi candidati all’ingresso nell’UE – come nel recente caso ucraino –, si ripropone costantemente alla vigilia di snodi, o di svolte, percepiti come decisivi dalle opinioni pubbliche interessate. È come se sui margini dell’Europa politicamente «unionista» si avvertisse con maggior nettezza la domanda di senso politica che, invece, entro quegli stessi margini si preferisce ignorare, cautelandosi dietro la (utopistica) neutralità del «non senso» della mera convergenza economica degli interessi. Ci si trova così dinanzi al paradosso (o alla situazione tragicomica) per il quale, mentre per entrare in Europa c’è gente che mette a repentaglio la vita, in quella stessa Europa non si trova nessuno che sia disposto a immolarsi sull’altare della messa in comune degli interessi… Non c’è da stupirsi se buona parte dei cittadini europei, chiamati a esprimersi sul loro destino, si volgano a traduzioni politiche, talora esasperate (come i populismi più o meno xenofobi, oggi riemergenti addirittura in seno al Parlamento di Strasburgo), di una domanda di Europa politica che altrimenti rischierebbe di restare inespressa. In mancanza di una proposta forte di europeismo politico, ci si affida a collaudate, anche se storicamente fallimentari, ricette di particolarismo pseudo-nazionalistico (o regionalistico). 66 Sulle problematiche giuridiche (non solo giuspubblicistiche ma anche giusprivatistiche) connesse alla Costituzione europea, anche in rapporto alla Carta dei diritti fondamentali dell’UE, firmata a Nizza in una prima stesura nel 2000, si rinvia ai contributi pubblicati in Diritti e Costituzione nell’Unione Europea, a cura di G. Zagrebelsky, Laterza, Roma-Bari, 2003. 67 La denuncia di questo processo involutivo è piuttosto ben rappresentata in esempi di recente saggistica, tra i quali si citano, di I. Magli, Contro l’Europa, Bompiani, Milano, 1998 (atto d’accusa concentrato sul dopo-Maastricht) e La dittatura europea (Rizzoli, Milano, 2010), e di H. M. Enzensberger, Il mostro buono di Bruxelles ovvero L’Europa sotto tutela, Einaudi, Torino, 2013. 68 «Per meritare il nome di democrazia, un regime politico deve essere caratterizzato da quattro elementi: la definizione di libertà pubbliche e garanzie private inerenti ai diritti dell’uomo, l’esistenza di un parlamento eletto a suffragio universale che voti le leggi, la suddivisione dei poteri tra quest’ultimo e i governanti che devono conformarsi a norme di legge e di bilancio, la presenza di autorità giudiziarie indipendenti e forti» (M. Duverger, L’Europa degli uomini, cit., pp. 97-98). 69 Id., La democrazia senza popolo, Dedalo, Bari, 1968, p. 250. 70 Per Beck è tramontata l’età dei popoli: doing Europe porta con sé il passaggio dalla democrazia tradizionalmente concepita su base nazionale a una democrazia transnazionale (cfr. U. Beck, Europa tedesca, cit., p. 79), per la verità tutta da inventare. Con la sola eccezione della Francia (a proposito della quale si rinvia a La Francia senza Europa, ‘liMes’, 3/2012), il calo demografico generalizzato della popolazione europea, inversamente proporzionale all’ampliamento della superficie territoriale dell’Europa comunitaria, registratosi nell’arco di circa 60 anni, denota anche in cifre numericamente significative il depauperamento complessivo delle risorse umane alle quali il progetto di unificazione europea può attingere: buona parte della problematica inerente ai negoziati di adesione alla UE (per ora in fase di stallo) di un Paese islamico popoloso e anagraficamente giovane, come la Turchia, ruota attorno al potenziale squilibrio demografico che già adesso l’Europa nel suo complesso farebbe fatica a reggere, al di là dei problemi di integrazione (geo)culturale implicati. Per non aver voluto, a tempo debito, fare i conti, non economici, ma politici, con i suoi popoli autoctoni, l’Europa rischia di ritrovarsi, a medio termine, senza materiale umano. A quel punto, sarà obbligata a riorientarsi, fatalmente, in direzione del Mediterraneo, nello spazio dove il carattere geopoliticamente peninsulare dell’Europa ha preso storicamente avvìo e forma, dando vita a un abbozzo di sintesi tra Occidente e Oriente (in particolare sull’Est europeo cfr. S. Averincev, La spiritualità dell’Europa orientale e il suo contributo alla formazione della nuova identità europea, in La filosofia dell’Europa, cit., pp. 27-46). 71 M. Duverger, L’Europa degli uomini, cit., p. 99. 72 Ibidem. 73 Ivi, p. 100. 74 Ivi, p. 115. 75 Il pensiero va al polemico pamphlet di V. Bukovskij e P. Stroilov, EURSS. Unione europea delle repubbliche socialiste sovietiche, Spirali, Milano, 2007. 76 M. Duverger, L’Europa degli uomini, cit., p. 121. 77 Cfr. ivi, p. 109. 78 In prospettiva storico-giuridica va senz’altro tenuto presente, di Paolo Grossi, L’Europa del diritto (Laterza, Roma-Bari, 2007). Rivendica all’Europa una definita e precisa identità nella storia del diritto A. Padoa-Schioppa, in Italia ed Europa nella storia del diritto, il Mulino, Bologna, 2010, in particolare alle pp. 589-594. 80 Cfr. ivi, p. 133. 81 Duverger non mancava di rilevare l’importante contributo fornito, tra gli altri, da Giorgio Napolitano (del quale si ricorda Challenges facing the European Union, ‘The International Spectator’, 1/2000, pp. 7-11), alla formazione di stabili equilibri di forze tra una sinistra socialista di stampo europeo e un articolato schieramento moderato tendente al centrismo (cfr. M. Duverger, L’Europa degli uomini, cit., p. 158). 82 Questa espressione non deve fuorviare: da un canto non allude a qualcosa di analogo all’ONU, perché è limitata all’area europea, e da essa trae la matrice geoculturale, sebbene con inevitabili proiezioni, trans-continentali, nelle aree dove l’europeità è a vario titolo presente, dall’America latina a zone dell’Africa e dell’Asia largamente esposte all’influsso attrattivo eurocomunitario; dall’altro prende nettamente le distanze da richiami anche vaghi a Stati Uniti in versione nord-americana, o sud-americana, o anche indiana, generati da una vicenda che ha portato a soluzioni federaliste in un contesto non paragonabile all’attrito (sovente bellico) delle nazionalità, che caratterizza tutta la storia europea, pre-moderna, e moderna. Resta pertanto tutto sommato contraddittoria la proposta di Stati Uniti d’Europa (cfr. E. Letta-L. Caracciolo, L’Europa è finita?, cit., p. 91; E. Fazi, G. Pitella, Breve storia del futuro degli Stati Uniti d’Europa, Fazi, Roma, 2013) avanzata da uno dei suoi promotori più autorevoli, Enrico Letta, il quale difatti deve ammettere che, anche nell’ipotesi di un nocciolo duro di Stati trainanti, «non si tratta di due Paesi che si fondono, di uno Stato federale che nasce per acquisizioni successive o di uno Stato unitario che si federalizza. Stiamo parlando di un processo totalmente diverso che vede nella caratteristica antropologica la sua componente essenziale» (ivi, p. 61). Una antropologia politica dell’Europa potrebbe essere utilmente sviluppata in questa direzione qui appena accennata, magari col concorso dell’antropologia culturale (cfr. L’anthropologie structurale à l’épreuve de l’Europe. Dynamique du rite, fragilités du mythe. Entretien avec Jean Cuisenier, ‘Esprit’, gennaio 2004, pp. 143-144), oltre che dell’antropologia filosofica (cfr., in prima battuta, G. Reale, Radici culturali dell’Europa. Per una rinascita dell’’uomo europeo’, Raffaello Cortina, Milano, 2003). 83 Sulle ascendenze filosofiche (fenomenologiche) di questa peculiare dimensione europluralistica cfr. anche R. Cristin-S. Fontana, Europa al plurale, Marsilio, Venezia, 1997. 84 Di universalismo pluralistico della civiltà europea, in antitesi all’universalismo monistico della civiltà nordamericana, si parla in G.M. Chiodi, Europa. Universalità e pluralismo delle culture, Giappichelli, Torino, 2000, p. 11. In merito ai possibili significati dell’universalità dell’Europa s’interroga Frédéric Worms, in Quelle universalità pour l’Europe? (‘Esprit’, dicembre 2004, pp. 50-56). 85 A un livello speculativo tributario della fenomenologia e di Derrida, si è richiamata l’attenzione sul paradosso della responsabilità come costitutivo dell’idea stessa di Europa (cfr. C. Sinigaglia, Presentazione a E. Husserl, L’idea di Europa, cit., p. XXV). Con Karl Jaspers si risale alla fonte di questa responsabilizzazione dell’autocoscienza, e dell’autoaffermazione europee: l’acquisizione della piena coscienza, da parte di ogni uomo, di essere potenzialmente se stesso (cfr. K. Jaspers, Dello spirito europeo, cit., p. 142). 86 Con l’avvertenza che la responsabilità del proprio operato «è un frutto naturale della sovranità nazionale e viene messa a rischio dalla politica transnazionale» (R. Scruton, Il bisogno di nazione, cit., p. 57), come dimostrato da A. Pilati nel suo Europa. Sovranità dimezzata, IBL Libri-Il Foglio, Torino-Roma, 2013). 87 «La gente comune vive di fedeltà non scelte e se viene privata del senso di nazione cercherà altrove i legami di appartenenza – nella religione, nella razza o nella tribù» (R. Scruton, Il bisogno di nazione, cit., p. 79). Il sentimento nazionale può alimentare una causa per la quale battersi, mentre è risaputo che «le persone non muoiono per rispettare dei contratti» (ivi, pp. 79-80). Convinzione di Scruton, non del tutto peregrina, è che l’Unione Europea «dipende proprio da quel qualcosa che sembra incline a distruggere» (ivi, p. 96), avendo immaginato di poter plasmare, quasi a sua somiglianza, un mondo nel quale la politica, debilitandosi, cedesse il passo alla libera e pacifica circolazione dei beni, delle idee, delle persone. Una globalizzazione più immaginaria che reale ha fatto il resto, delegittimando le genuine nazioni politiche, e abilitando pseudo-nazioni paratribali, localiste, etniciste, religiosi a un comportamento di crescente assertività, e aggressività. 88 Cfr. L’impero è Londra, ‘liMes’, 10/2014. 89 «Con la sua forza organizzatrice unitaria l’impero romano ha stabilito il fondamento della futura Europa» (K Löwith, L’idea di Europa nella filosofia della storia tedesca, ‘Rivista di filosofia’, 1/2003, p. 7). 90 Un mondo dominato dall’economismo e dalla tecnoscienza sarebbe invero un mondo post-europeo, atteso che l’umanesimo resta l’anima dell’Europa. Ma pare che questo elemento non sia in cima ai pensieri delle forze politico-culturali che influiscono sulle sorti dell’Europa di oggi. Ricentrare nella Penisola ellenica la principale sede di rappresentanza politica dell’Europa arrecherebbe tra l’altro il non secondario vantaggio di desensibilizzare la Grecia alle sirene della civiltà ortodossa. 91 Una prima critica all’eurocentrismo si rinviene in N. Trubeckoj, L’Europa e l’umanità, Einaudi, Torino, 1982. Sull’alternativa eurocentrismo/universalismo (dei diritti dell’uomo) si interrogava, alla vigilia della riunificazione della Germania (e quindi dell’Europa) Robert Spaemann, in Universalismo o eurocentrismo?, ‘Il Nuovo Areopago’, 3/1987, pp. 5-13. 92 Cfr. Nord contro Sud. Il muro d’Europa, ‘liMes’, Quaderno speciale 2012. 93 L’oscillazione dell’Europa germanocentrica tra l’Occidente (dominato dal Nord-America) e l’Asia rimonta all’emergere della connessione essenziale tra politica, diritto e cristianesimo, che, nella visione hegeliana, «occidentalizza» l’Europa (cfr. G. Rametta, Tra America e Oriente: Hegel e l’Europa, ‘Quaderni fiorentini’, 31/2002, t. 1, cit., p. 795). Sulle implicanze teologico-politiche, e sugli esiti catastrofici (cfr. sul punto A. Hillgruber, La distruzione dell’Europa. La Germania e l’epoca delle guerre mondiali (1914-1945), il Mulino, Bologna, 1991) della perenne alternanza di contrapposizione e solidarietà «atlantica» con l’americanismo cfr. Epimeteo, Finis Europae, Bibliopolis, Napoli, 2007. Potrebbe darsi, tra l’altro, che il progressivo decentramento dell’Europa dal crogiolo mediterraneo abbia contribuito a suscitare, come contraccolpo, le energie convogliate nella nuova fase storica ascendente che l’islamismo politico sta registrando, almeno dalla fine degli Anni Settanta in poi. 94 Cfr. H. G. Gadamer, L’eredità dell’Europa, Einaudi, Torino, 1991. 95 Cfr. L. Godart, Europa. Nascita e affermazione di una civiltà, Codice, Torino, 2014. 96 Si veda in particolare R. Guardini, Europa. Compito e destino, Morcelliana, Brescia, 2004. 97 Cfr. V. Mathieu, L’avventura, spirito dell’Europa, Guida, Napoli, 1989. 98 Jaspers elencava i seguenti tratti fondamentali dello spirito europeo: le prospettive storico-mondiali, l’inesauribile acquisizione alla coscienza del reale e del possibile, il potenziamento della coscienza storica assieme alla Storia stessa (cfr. K. Jaspers, Dello spirito europeo, cit., p. 134). |
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